Megalodonte: il gigante dei mari

Megalodonte: il gigante dei mari

Otodus megalodon. Pochi nomi scientifici sono in grado di evocare tanto fascino ed ammirazione quanto questo. E inevitabilmente vengono subito in mente i grandi denti fossili, che sono pressoché l’unica testimonianza concreta di questa specie. Tutto ciò che la riguarda, sia che si parli delle sue dimensioni, dei suoi comportamenti, della sua estinzione o altro ancora, la rendono oggetto di sempre nuovi studi da parte dei ricercatori e di forte interesse tra gli appassionati.

Il mistero, perché non forse è esagerato definirlo tale, ha radici profonde. Perfino gli antichi e gli uomini del medioevo si domandavano cosa fossero quegli strani reperti triangolari e pietrificati, al tempo chiamati glossopetre (lingue di pietra). Essi venivano interpretati come lingue di serpente trasformate in pietra e gli venivano attribuiti poteri magici e curativi. La più antica illustrazione conosciuta di un dente di megalodonte appare in un testo a stampa del 1554, mentre all’incirca un secolo dopo il naturalista ed ecclesiastico danese Niccolò Stenone è il primo a riconoscerne la natura organica, identificandoli come denti di squalo. Sarà poi il celebre zoologo e paleontologo svizzero Louis Agassiz ad istituire, versò la metà del 19° secolo, la specie Carcharodon megalodon.

Abbiamo appena citato, come nome del genere, Carcharodon, mentre all’inizio dell’articolo si è parlato di Otodus. A cos’è dovuta questa differenza? È una questione in realtà complessa, poiché la classificazione tassonomica del megalodonte è stata oggetto di discussione per lungo tempo. Inizialmente si riteneva che fosse strettamente imparentato con il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) per la somiglianza dei loro denti, tuttavia oggi sappiamo che il megalodonte appartiene ad una linea evolutiva separata, molto probabilmente quella del genere Otodus. Per questo motivo il nome scientifico adottato oggi da numerosi studiosi è Otodus megalodon.

Immagine sopra: ricostruzione in scala 1:1 delle fauci di Otodus megalodon. Museo Paleontologico Territoriale dell'Astigiano.

Non c’è dubbio che il megalodonte sia il più grande squalo mai esistito, ma sappiamo che dimensioni raggiungeva esattamente? Purtroppo no, poiché non conosciamo esemplari completi di questa specie, ma solamente i denti e alcuni rari resti di vertebre. Nel corso del tempo sono stati sviluppati innumerevoli modelli utili a calcolare la lunghezza massima di questo squalo, utilizzando sia le dimensioni dei fossili rinvenuti, che il confronto con le specie attuali. I risultati sono spesso divergenti, indicando valori compresi fra i 14 e 18 m o perfino 20 m.

Come possiamo essere certi che un dente sia effettivamente ascrivibile al megalodonte e non ad un’altra specie? In questo caso è necessario osservare ed identificare i caratteri diagnostici propri di O. megalodon. I denti presentano una corona triangolare con bordi laterali con dentellature regolari e la punta è leggermente inclinata rispetto al piano di simmetria verticale. Il colletto dentale è sempre ben marcato e ha forma a chevron (V rovesciata). La faccia linguale (interna) è nettamente convessa sul piano trasversale. La radice è fortemente concava medialmente (ovvero nella porzione centrale), ma presenta una protuberanza sulla faccia linguale. I bordi laterali dei lobi della radice sono rettilinei e loro estremità acute e ben marcate. I denti degli esemplari giovanili possono conservare le cuspidi laterali. È infine necessario sottolineare che all’interno delle mascelle i denti presentano ampie differenze dimensionali e morfologiche in base alla loro posizione.

 


Immagine sopra: dente fossile di Otodus megalodon. Collezione Marco Sabia.

La distribuzione stratigrafica del megalodonte è compresa fra il Miocene inferiore e la fine del Pliocene. Si tratta di un arco temporale di circa 20 milioni di anni. Denti ancora più antichi (risalenti all’Oligocene superiore) sono stati attribuiti a O. megalodon, ma ciò è stato messo in discussione da altri esperti. Un aspetto maggiormente dibattuto riguarda i tempi e le modalità di estinzione di questa specie. Essa è stata collegata alla diminuzione di ecosistemi costieri fertili e produttivi verso la fine del Pliocene, un evento che probabilmente portò alla scomparsa di altre specie di megafauna marina, molte delle quali potrebbero essere state prede dell'O. megalodon, e all'emergere di possibili concorrenti.

Otodus megalodon aveva una distribuzione mondiale e i ritrovamenti sono particolarmente frequenti nelle regioni che si trovavano a latitudini subtropicali e temperate. L’animale frequentava diverse tipologie di ambienti marini, dalle basse acque costiere fino alle grandi profondità. Questa distribuzione è riscontrabile direttamente anche al giorno d’oggi: un dente è stato infatti recentemente rinvenuto sui fondali dell’Oceano Pacifico, ad oltre 3000 m di profondità.

In Europa troviamo località che hanno restituito denti di megalodonte soprattutto in Francia (es. bacino della Loira, Miocene medio), Belgio (es. sabbie di Anversa, Miocene-Pliocene inf.) e Italia (es. pietra leccese, Miocene). In Africa, si hanno ritrovamenti perlopiù in Marocco e Angola, in entrambi i casi riferibili al Pliocene. Gli Stati Uniti possiedono le località probabilmente più note ai collezionisti: le cave di Aurora in Carolina del Sud (Mio-Pliocene), le spiagge della Florida (in particolare Venice Beach, Miocene) e, nel Maryland le scogliere di Calvert e la baia di Chesapeake (entrambe risalenti al Miocene). In America del Sud, possiamo citare i denti miocenici del Perù e del Cile, mentre la regione caraibica (per es. Cuba) restituisce denti del Mio-Pliocene. Spostandoci in Oceania, la Nuova Caledonia è celebre per i denti che vengono dragati dalle profondità marine. Possiamo infine citare i denti provenienti dall’Isola di Giava, Indonesia.

Immagine sopra: vertebre fossili associate di Otodus megalodon. Museo di Scienze Naturali di Bruxelles.

Il megalodonte è un animale ampiamente conosciuto anche dal pubblico generalista e non solo da studiosi e scienziati. Innumerevoli documentari, articoli e testimonianze parlano di avvistamenti di questo animale negli oceani attuali. È un argomento sicuramente accattivante, ma nessuna prova concreta è mai stata presentata. Si può pertanto affermare con sicurezza che il megalodonte sia da lungo tempo estinto e quanto venga proposto per contraddire ciò rientra nel campo delle pseudo-scienze.

Non vedremo mai un megalodonte nuotare nei nostri mari: possiamo solamente dar sfogo all’immaginazione e pensare a questo straordinario animale, uno dei più temibili super-predatori del passato. Tuttavia un modo per avvicinarci un pochino di più a questa creatura esiste: ammirare i suoi straordinari fossili lasciandoci così trasportare indietro nel tempo, milioni di anni fa.

 

Immagine sopra: ricostruzione di Otodus megalodon. Smithsonian National Museum of Natural History. 

Autore articolo: Fabio Cavaler

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